Come nascono i prodotti

Come nascono i prodotti

Oggi vogliamo commentare un articolo che abbiamo recentemente letto online (a questo link) e cercare, se possibile, di allargare un po la visuale su un tema che ci sta molto a cuore.

L’articolo sottolinea come nel tempo il mercato (che poi sarebbero le persone che lo compongono - non bisogna mai dimenticarselo, ma torneremo presto su questo punto), sopratutto in ambito beauty, sia molto sensibile alle tematiche Green e come le persone sentano che sia necessaria un’azione da parte di tutti nel fare scelte più consapevoli per il bene dell’ambiente.

Abbiamo molto rispetto verso queste tematiche, al punto di aver deciso in generale di non esporci mai e soprattutto non “cavalcarle” come strumento di vendita.

Per due ordini di motivi:

1 L’ambiente è un tema SERIO.

2 I desideri e le speranze delle persone sono un tema altrettanto SERIO che richiede molto molto rispetto.

In altre parole temiamo che il legittimo desiderio delle persone di fare qualcosa di buono per l’ambiente, scegliendo prodotti di un certo tipo, possa essere un’arma a doppio taglio se messa nelle mani di persone che vogliono approfittarsi di questo desiderio.

Allo stesso tempo pensiamo che le persone siano MOLTO più intelligenti di quello che comunemente si ritiene e quindi crediamo che se qualcuno si approfitta di loro queste prima o poi se ne accorgeranno e non perdoneranno - ma questa è un’altra storia.

Da qua la nostra decisione di tenerci fuori dal tema “Green”, non perché non sensibili a questo argomento ma perché pensiamo che vada affrontato in un certo modo.

In generale ogni attività ha un patto ambientale, quindi il primo modo per inquinare di meno è diminuire il numero di attività tagliando tutte quelle inutili.

Ognuno ha (giustamente) il suo metro di misura di attività inutili ma come paese almeno rispetto a Cina e Stati Uniti abbiamo una buona sensibilità a riguardo.

Per fare un esempio: è raro vedere persone che lasciano la luce accesa anche quando non sono in casa.

Questo dal lato del consumatore; e le aziende come potrebbero comportarsi per inquinare di meno?

Il primo passo sarebbe produrre solo beni e servizi "utili".

Ma chi decide cosa è utile e cosa no?

Il mondo delle aziende è molto complesso, ed esistono due tipi di situazioni.

La prima è quella che si vede più spesso anche nei film: una persona che ha un’idea geniale, fa tutto il possibile per trasformare l’idea in un prodotto (o in un servizio) ed inizia a venderlo, il mercato lo apprezza e da li nasce l’azienda.

La seconda situazione è invece quella delle grandi multinazionali che ragionano in maniera opposta.

La proprietà delle grandi multinazionali spesso è diffusa (molte sono quotate in borsa quindi ogni azionista è proprietario in proporzione alle azioni che detiene) e il consiglio di amministrazione deve portare risultati economici entro determinate scadenze.

Il processo di creazione di un prodotto è quindi l’opposto: uno studio interno o una consulenza mostrano al consiglio di amministrazione una ricerca su determinati mercati in crescita, il consiglio di amministrazione legge la ricerca e approva il lancio di un nuovo prodotto che verosimilmente nei primi mesi alza le vendite anche solo per la curiosità delle persone che conoscono l’azienda madre.

Esageriamo con un esempio per rendere l’idea, il processo potrebbe essere qualcosa del tipo: “è estate e in questi mesi aumentano del 70% le presenze in spiaggia” “ok, lanciamo la nostra linea di pedalò”.

Questo modo di operare può avere un alto impatto ambientale in due diversi modi:


1 Il prodotto potrebbe fallire, in quel caso la multinazionale ha la forza per cancellare l’esperimento senza particolari problemi economici (per lei).

2 Il prodotto potrebbe vendere bene durante l’estate ma poi calare le vendite d’inverno ed essere già obsoleto per la stagione seguente, in questo caso spesso l’invenduto viene messo in discount store e poi anche qua buttato, l’obiettivo però è stato raggiunto: alzare il fatturato trimestrale dell’azienda (poi il prossimo trimestre ci sarà un nuovo mercato in cui "buttarsi").

In entrambi i casi poco importa se i pedalò siano green, riciclati e senza motore: se vengono prodotti e poi buttati via si tratta sempre di plastiche e rifiuti che avrebbero potuto non essere creati (dall’altro lato si tratta anche di lavoro di persone che hanno prodotto i pedalò, anche questo è un elemento da tenere in considerazione).

In poche parole lo sport che le multinazionali possono permettersi di giocare (e spesso giocano) è: “lancio tutto, quello che va lo tengo quello che non va lo butto e spero che i prodotti che vanno coprano costi e margini anche di quelli che ho buttato”.

Non serve una grande analisi per capire che questo atteggiamento non è ad impatto ambientale zero (e sottolineamo ancora anche se i prodotti fossero prodotti ad impatto zero al momento della produzione).

N.b. questo è quello che succede praticamente quotidianamente nella grande distribuzione dove i prodotti vengono testati e se piacciono restano se non piacciono semplicemente scompaiono, quante merendine o bibite sono state sugli scaffali per qualche settimana per poi non vedersi mai più?

Una veloce ricerca con l’intelligenza artificiale può condividere dati interessanti:

Quello che però qua ci preme sottolineare è che questa struttura di produzione non avviene per una cattiveria intrinseca dell’amministrazione delle multinazionali ma è dettata da cause oggettive!

Se alla chiusura del trimestre i fatturati sono stati insoddisfacenti gli azionisti vendono le azioni e il consiglio di amministrazione viene licenziato, fino a quando non se ne trova uno in grado di portare lucro.

Questo stesso sistema fa si che per un’azienda multinazionale ci siano due diversi modi di gestione che coesistono:

_Nel lancio di nuovi prodotti ogni budget è consentito perché potrebbe portare più vendite.

_Nella tutela di ambiente e/o lavoratori ogni euro tagliato è un euro in più da distribuire in forma di dividendi ad azionisti ed obbligazionisti.

Dinamiche di questo tipo portano ai veri grandi disastri ambientali della storia, come il tragico incidente avvenuto nel 1987 in India, una storia molto tragica purtroppo poco nota. 

Il disastro di Bhopal che è considerato tra i primi tre più grandi disastri ecologici della storia (la classifica non è univoca; nel senso che il disastro di Bhopal è stato un evento e come tale è avvenuto in un momento preciso mentre altri disastri ambientali sono occorsi nell'arco di decenni, come la desertificazione del lago d'Aral).

In questa sede non vogliamo ripercorrere quei tragici eventi che purtroppo costarono la vita a molte molte persone (se volessi approfondire, l’articolo di Wikipedia è disponibile al seguente link) ma vogliamo cercare di far conoscere questo avvenimento, in modo che quante più persone possibili ne siano consapevoli.

Attenzione: tutto quanto detto finora non significa che il nostro impegno soggettivo sia inutile e quindi “inquiniamo di più anche noi, tanto ormai...”.

Al contrario, l’impegno delle singole persone è lodevole ma crediamo che l’informazione riguardo certe dinamiche possa creare degli altri risultati positivi.

Non fosse altro perché fino ad ora tutti gli articoli che troviamo parlano di come siano riciclati i tubetti e come si usi poca acqua nella produzione di un prodotto X, non abbiamo ancora avuto il piacere di leggere un articolo che evidenzi il sistema in cui viviamo in cui vengono cestinati migliaia di prodotti ogni anno nella grande distribuzione.

Piccola digressione: si trova su Youtube un video molto bello di un famoso Youtuber Italiano che mostra il Bangladesh con le sue bellezze (soprattutto a livello umano, persone veramente d’oro) e i suoi disastri soprattutto causati dal fast fashion, il video è disponibile al seguente link.

Le aziende a proprietà privata/di pochi soci o a gestione familiare invece possono permettersi di fare anche altri tipi di scelte.

Noi per esempio abbiamo deciso di non produrre più le mini taglie dei prodotti.

Perché un solo tubetto da 100 ml contiene la stessa quantità di prodotto di due tubetti da 50ml ma (circa) la metà della plastica.

Così abbiamo deciso di non produrre più le mini taglie e offrire solo la versione da 100 ml.

Faremo scontenti alcuni clienti? Molto probabilmente si, ma questa dal nostro punto di vista è una vera scelta green (e coraggiosa), e speriamo che al contempo altre persone siano felici della scelta e la supportino.

Ovviamente i vantaggi per l’ambiente di produrre solo i 100 ml non si limitano alla plastica ma anche all’imballo, al trasporto, al movimentare meno pezzi con minor rischio di rotture o di sbagliare un ordine che poi va sostituito ecc…

Ti abbiamo raccontato questa storia perché c’è un punto che ci interessa sottolineare.

Abbiamo potuto prendere questa decisione un pò perché teniamo molto all’ambiente (e forse siamo anche un po pazzerelli, non tutti l’avrebbero fatto) ma anche perché non siamo una multinazionale quotata in borsa.

Fossimo un’azienda quotata in borsa e avessimo preso una decisione di questo tipo l’assemblea degli azionisti avrebbe votato per licenziare l’amministratore delegato e ne avrebbe nominato uno in grado di portare più soldi subito.

ATTENZIONE: con questo articolo non stiamo sostenendo che noi siamo “buoni” e che le grandi aziende siano “cattive”, queste dinamiche sono infatti oggettive e non dipendono dal volere delle singole persone.

E’ come se le pressioni del mercato imponessero alle grandi aziende di viaggiare su dei binari.

L’obiettivo di questo articolo è al contrario quello di far luce su un mondo che è molto ampio e sul quale c’è un pò troppa semplificazione anche negli articoli che si trovano sui giornali e in quello che si racconta sui social.

Le persone hanno un grande interesse per il tema ambientale e pensiamo che il modo migliore per rappresentare questa legittima istanza sia quello di fare un’informazione il più possibile completa (anche se a volte scomoda) dando quanti più elementi possibili alle persone per valutare le singole fattispecie.

Purtroppo molto spesso sembra che basti avere due o tre certificazioni su un tubetto per entrare nell’olimpo dei “green” quando grandi multinazionali con le quali interagiamo tutti i giorni spesso hanno un lato green ed uno "un pò meno green" per via di dinamiche oggettive.

Un’ultimo addendum: vogliamo chiudere questo articolo con due esempi virtuosi (non dobbiamo mai dimenticarci che nel mondo c'è anche tanto di buono).

Gli esempi potrebbero essere molti ma il primo che viene in mente (anche se non riguarda il tema ambientale) è la catena di fast food In-N-Out.

Questa catena è presente solo negli stati uniti e neanche in tutti gli stati ma ha un giro d’affari clamoroso, le stime dicono che per ogni singolo punto vendita la catena realizza un fatturato annuale circa triplo rispetto a quello del suo grande competitor numero uno al mondo.

Ma come realizzano questo straordinario risultato? Le cause sono molte, In-N-Out in America è un vero e proprio culto, celebrità del calibro di Kylie Jenner e Kim Kardashian mangiano presso questa catena ma il punto che ci preme sottolineare è un altro.

Uno store manager di In-N-Out è pagato circa il triplo di una persona che ricopre lo stesso ruolo presso altri fast food, in questo modo lavora bene e produce molto.

La stessa proprietaria Lynsi Torres ha affermato di poter pagare le persone in maniera così generosa proprio perché la sua azienda è di proprietà familiare altrimenti questo le sarebbe impedito (purtroppo il link  all’articolo di Fortune che riportava le parole citate è caduto e dà errore, ci sono però svariati articoli che parlano positivamente delle condizioni di lavoro in questa catena).

Lo stesso vale per uno dei fiori all’occhiello in Italia: la Ferrero che è si una società per azioni ma non quotata in borsa e che recentemente ha vinto il premio di miglior datore di lavoro.

Con questa lungo articolo speriamo di aver ampliato i punti di vista su un tema che ci sta molto a cuore e che quindi vorremmo trattare con la serietà ed il rispetto che merita.

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